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  • Immagine del redattoreFiliberto Ciaglia

Un’accademia di pittori scandinavi nell’Abruzzo di fine ‘800.



Nel corso del XIX secolo furono molti i personaggi illustri provenienti da ogni parte d’Europa ad organizzare il proprio “Grand Tour” alla volta delle città e degli scenari italiani, la cui varietà storico paesaggistica ispirò memorabili diari di viaggio e suggestivi dipinti. L’Abruzzo di fine ‘800 si avviava ad uscire da un isolamento perso nei secoli, i primi lavori infrastrutturali del periodo post-unitario avrebbero permesso agli abitanti delle grandi vallate circondate da imponenti sistemi montuosi di poter raggiungere più agevolmente il resto della regione e del centro della penisola, ma anche d’essere raggiunti da chiunque fosse interessato alla scoperta di territori tanto isolati da esser praticamente sconosciuti.Per il suo personale tour della penisola era già impegnato da qualche anno Kristian Zhartmann, pittore danese che assieme ad altri illustri esponenti dell’arte scandinava contribuì ad un distacco dall’arte accademica europea dai canoni rigidi e subordinati al potere, in nome d’una rivoluzione nel dipingere che privilegiasse il rapporto tra luce, natura e quotidiano. Visitò Siena, Roma, Amalfi, Pistoia e soggiornò in un paese di nome Saracinesco sulla Valle dell’Aniene, ma nessun luogo lo colpì di più del borgo di Civita D’Antino, centro della Valle Roveto ai confini sud occidentali della Marsica. La luce dei tramonti sulle case in pietra della parte alta del paese, le ultime nevi sui picchi aguzzi dei Monti Simbruini, le melodie canticchiate dai contadini di ritorno dalle faticose giornate di lavoro, i divertimenti quotidiani, le feste e la religiosità popolare dell’Abruzzo più profondo catturarono a tal punto l’artista nel 1883, anno in cui vi giunse per la prima volta, da crearne un legame affettivo indissolubile e, soprattutto, qualcosa di più grande.

Zarthmann creò una scuola estiva di pittura che attirò ben 89 artisti danesi fino al 1915, tutti ipnotizzati dai panorami delle vallate appenniniche magistralmente rappresentati in decine e decine di opere che furono esposte a Copenaghen nel 1908, molte delle quali entrarono successivamente nelle case di numerosi collezionisti europei. Quando l’ormai non più giovane fondatore della scuola tornò in Danimarca nel 1912, acquistò un pezzo di terreno nel quale fece costruire la sua nuova abitazione che battezzò “Casa D’Antino”, in ricordo d’un remoto villaggio appenninico che non rappresentò solo una fonte d’ispirazione preziosa per lo sviluppo della corrente artistica impressionistica, ma anche il ricordo delle autentiche amicizie nate a contatto con la gente del paese che vive eternamente in quei dipinti. Il quadro alle spalle del titolo fu realizzato da un allievo di Zarthmann nel 1905, raffigura il pittore al centro della piazza del borgo con alle spalle gli abitanti incuriositi da quel che l’opera sarebbe divenuta a lavoro finito.

La catastrofe sismica del 1915 coinvolse Civita D’Antino e decretò la parziale scomparsa di quel ponte artistico tra Nord Europa e Centro Italia. Eppure, negli ultimi anni, il lavoro di alcune associazioni e dell’amministrazione del borgo ha riportato alla luce questa straordinaria pagina della storia post-unitaria abruzzese. La speranza è che negli anni che verranno la Valle Roveto divenga un desiderio tra le mete di molti danesi curiosi di scoprire quanto accadde ai loro connazionali tra le nostre valli più di un secolo fa, e che gli stessi abruzzesi riescano a trovare il tempo di visitare un borgo destinato come molti altri allo spopolamento, ma depositario d’un momento unico nella storia dell’arte d’Europa.


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