Tra il 20 ed il 28 dicembre del 1943 la città di Ortona fu teatro d’una tra le più sanguinose battaglie nel fronte occidentale del secondo conflitto mondiale. Il centro aveva un’importanza strategica fondamentale per i tedeschi, rappresentando l’estremo avamposto orientale della Linea Gustav che divideva in due la penisola tra la presenza tedesca a settentrione e quella alleata, proveniente dal sud Italia. A scontrarsi furono le truppe canadesi, comandate dal generale Chris Vokes, che ai primi di dicembre erano riuscite a raggiungere i confini del comune dopo aver vinto la battaglia del Sangro. L’assedio iniziò il 19 dicembre e fu portato avanti anche da soldati neozelandesi, gli alleati registrarono un successo iniziale che fu messo in pericolo quando il conflitto si spostò all’interno del centro abitato, dove l’esercito tedesco mostrò la sua superiorità di movimento. Le case, o quello che vi rimaneva, diventavano trincee o trappole nelle quali nascondere delle mine, mentre molti dei civili scelsero a costo della vita di non abbandonare le proprie abitazioni.Dopo otto giorni nei quali i combattimenti non si interruppero nemmeno a Natale, il 28 dicembre i tedeschi iniziarono una lenta ritirata verso il castello aragonese dove si consumò l’ultimo sanguinoso scontro prima che, dal 29 dicembre, la città passasse nelle mani dei canadesi mentre dall’orizzonte adriatico si iniziarono a scorgere le imponenti sagome delle navi americane in arrivo. Sebbene possa essere considerata una vittoria alleata a tutti gli effetti, visto che si pose fine al dominio nazista su quella parte della Linea Gustav, ciò che fa riflettere è quanto siano riusciti a resistere i tedeschi nonostante un numero di gran lunga inferiore di uomini. In aggiunta tra le loro fila morirono 867 soldati, mentre furono complessivamente circa 2000 i canadesi caduti nella logorante battaglia. Per quel che riguarda gli abitanti ortonesi che scelsero di restare nelle proprie case, in 1300 non videro mai scoccare il 1944.
Su una collina nei pressi di San Donato, frazione ortonese, riposano i giovani soldati canadesi e neozelandesi che non conclusero mai la Campagna d’Italia, file interminabili di lapidi guardano le onde dell’adriatico infrangersi sulle coste abruzzesi. Le vittime dell’esercito tedesco sono state invece portate a Cassino, aggiunte agli altri compagni periti nel centro e sud Italia in quegli anni. Tutti, mentre il massacro diveniva dilagante e gli edifici storici del centro abitato crollavano sotto i bombardamenti aerei e le cannonate dell’artiglieria navale, erano consapevoli che la battaglia d’Ortona sarebbe stata ricordata negli anni in modo particolare, tanto che Winston Churchill ne parlò come la “Stalingrado d’Italia”.A ricordo del drammatico scontro e della resistenza alla fuga da parte dei civili che si barricarono, anche a costo della vita, nelle proprie abitazioni, alla fine degli anni cinquanta la città fu insignita della medaglia d’oro al valor civile. A distanza di 65 anni dalla “Stalingrado d’Italia” il museo della Battaglia d’Ortona, unito alla memoria storica dei documenti militari e dei racconti tramandati da chi visse quell’inferno da bambino ed oggi, molto in là con l’età, lo racconta a tavola circondato dai giovani figli di ben altro tempo, contribuiscono a tener vivo un frammento particolarmente intenso del vasto spartiacque che cambiò la storia del mondo, affinché il ricordo delle generazioni perdute non venga mai sepolto dalla dimenticanza.
Filiberto Ciaglia
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