Di unico ciascun paese ha il fatto di essere unico.
Non ne esistono altri con la stessa forma, con la stessa maglia urbana, con lo stesso patrimonio folklorico, con lo stesso sguardo all'innovazione, con le medesime vicissitudini passate inscritte nel panorama storico della regione e, in esteso, della nazione.
E partendo dall'assunto che i borghi sono mondi nel mondo, ogni paese arreso che ha preso le sembianze di un "non luogo" scordando la propria semantica è un campanello d'allarme, perché è a rischio una fetta di paesaggio. In Abruzzo, così come nella totalità delle aree interne italiane, esistono paesi arresi e paesi resilienti, è bene lavorare per scuotere i primi e per non far mollare la presa ai secondi.
Ho girato paesi spenti nonostante il sole battesse forte sulle chiese e sulle case, paesi che si sono persi per strada. La gente si riconosce per i vicoli ma non si conosce più come corpo comune, come ereditaria di un pezzo di mondo. È un dramma che può essere esteso anche alle marginalità urbane, come le nuove periferie, ove il problema è duplice perché in quel caso l'identità è irrecuperabile non essendo mai esistita, tutto è mero e fulmineo allargamento degli spazi edificati. In quel caso l'identità va cercata e creata attraverso la partecipazione comunitaria, con un'inclusione lungimirante. Per questo servirebbero visionari e non ce ne sono, la politica ha messo l'impersonalità finanziaria al primo posto, il "paesaggio" compare solo come componente d'effetto nell'elaborazione dei bandi, quelli per cui i piccoli comuni corrono per aggiudicarsi le briciole di pane.
Solo che paesaggio e spazio sono due cose differenti. Lo spazio è la superficie, è crosta indifferente. Diventa paesaggio quando, come afferma il prof. Angelo Turco, "incorpora valore antropologico" ed è un'incorporazione che si declina in modi diversi da paese a paese, presentandosi come mondo nel mondo, un luogo dove è bene fermarsi e vedere che succede prima di ripartire, ed eventualmente ritornarci.
Le difficoltà d'accesso ai borghi dell'Abruzzo profondo, la più aspra tra le regioni dell'arco appenninico, hanno garantito la sopravvivenza dei patrimoni immateriali, degli scorci monumentali che talvolta in città furono distrutti dalla mano dell'uomo e non dai sismi, si diceva per "far respirare il tessuto urbano".
L'oltre Covid è uno stimolante interrogativo per i luoghi dimenticati, in molti ritengono che siamo agli inizi di una rivalutazione dell'abitare già nell'aria prima dell'epidemia, di uno sviluppo possibile anche attraverso un modello a più centri.
Il fatto straordinario è che l'Italia interna rappresenta "l'ultimo lungo secondo" di un mondo che muore. L'obiettivo non è tentare innaturalmente d'evitare la morte di quel mondo, ma vivere nel nuovo coscienti del significato che portiamo dentro come attori del paesaggio. Credo che il segno spirituale e materiale della civiltà preindustriale resti immobile nei centri storici, nelle rocche stanche e sgretolate, e che la nuova civiltà globalizzata avrà il bisogno di rifugiarvisi di volta in volta, riabitando i margini, dilatando all'infinito "l'ultimo lungo secondo" di quel mondo.
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