Nei paesi andateci da scopritori. Spesso i portali e i vecchi muri nascondono richiami antichi. Qualche volta sono appena intuibili, scritte consumate e rese illeggibili dal tempo, altre sopravvivono e tramandano messaggi lontani.
Le scritte sulle case abbandonate sono un patrimonio materiale e immateriale, idee eternate tra una finestra e l'altra che mantengono la forza del partito preso, della sofferenza, del dissenso, delle contrapposizioni che non esistono più e che in qualche modo hanno plasmato il nostro mondo.
Il referendum che decretò il passaggio peninsulare al regime repubblicano suscitò un’onda incontrollata di scritte murarie, segno del clima incandescente di una transizione complessa. In Via Pantano a Collarmele, il mio paese, campeggia sfocata la scritta “W il Re”, con l’ultima lettera coperta da una colata di cemento postuma.
Non parteggiava invece per il sovrano il cittadino o la cittadina che realizzò la scritta su un muro di San Pio Delle Camere.
Talvolta campeggiano vecchi proclami del regime fascista, per lo più incentrati sulla retorica tipica della propaganda del ventennio, sui richiami all’ideologia nazionalista e alla guerra scellerata.
Più spesso si intravedono scudi crociati della Democrazia Cristiana e falci e martello del Partito Comunista, simboli della sfida a due dell’Italia postbellica, sparsi qua e là tra i muri più in vista nelle vie principali dei paesi.
Diffuse sono anche le scritte relative al periodo della Grande Guerra, e ancor di più quelle che si limitano a esaltare un anno particolare, volute dai compaesani della stessa “classe”, a eterno ricordo della loro generazione.
Facili da intravedere sono poi le scritte delle vecchie botteghe, dei rivenditori di Sali e tabacchi, dei beccai, dei calzolai.
I vecchi muri parlanti arricchiscono il viaggio nel passato, creando un’animazione silenziosa dei vicoli deserti, rievocando il fragore delle folle scosse dai lontani mutamenti politici di Roma. I nuovi muri parlanti, quelli dei borghi che stanno incominciando a esprimere nuovi codici simbolici figli del nostro tempo e della portata globale delle nuove istanze, si aggiungono a mio avviso sulla stessa linea concettuale e simbolica della “street art inconsapevole” dell’Italia che fu.
(Fotografie di Filiberto Ciaglia)
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