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  • Immagine del redattoreFiliberto Ciaglia

Anche l'Abruzzo ebbe i suoi campi di internamento.

In occasione dell’annuale ricordo del dramma nazista e del genocidio del popolo ebraico è opportuno che la memoria scavi anche nel passato delle nostre località abruzzesi, giacché l’universo concentrazionario dei campi d’internamento coinvolse anche il territorio italiano e il nostro Abruzzo. Totalmente differenti da quelli tedeschi, ove vennero compiute le crudeltà più efferate che caratterizzarono il genocidio nazista, i campi italiani contribuirono comunque alla marginalizzazione e alla ghettizzazione degli ebrei della penisola, e non solo. Fino al 1943 esistettero circa quaranta campi, quindici dei quali predisposti nel territorio abruzzese nei comuni di Lanciano, Casoli, Nereto, Isola del Gran Sasso, Tossicia, Badia di Corropoli, Vasto, Casalincontrada, Civitella del Tronto, Tortoreto, Città S.Angelo, Tollo, Notaresco, Chieti e Lama dei Peligni.

Tra gli internati figuravano ebrei italiani e stranieri, antifascisti, uomini o donne appartenenti a stati nemici dell’asse, i quali sulla base del decreto regio del 4 Settembre 1940 dovevano essere trattati con rispetto. Gli ispettori preposti alle diverse province giungevano nei campi e incontravano i direttori addetti alla gestione delle strutture, che venivano designati tra i più alti funzionari di polizia.

Palazzo Tilli, sede del campo di internamento di Casoli (CH)

Le condizioni di vita variavano da campo a campo e conobbero un lento e graduale peggioramento a partire dal 1943, quando l’aggravarsi della situazione al fronte condusse ad un collasso economico interno riflessosi nell’aumento dei prezzi degli alimenti, che superarono il budget di 8 lire di sussidio concesso dallo stato agli internati. L’assistenza sanitaria era loro garantita dai medici dei paesi abruzzesi e in alcuni casi da personale medico ausiliario, aspetto che si rivelò fondamentale quando si diffusero le prime malattie dovute alle scarse condizioni igieniche e allo spazio ridotto degli edifici rispetto a quanti vi erano costretti all’internamento. Gli edifici dei campi della nostra regione erano spesso di proprietà di privati, ma poteva trattarsi altresì di vecchie scuole, monasteri o refettori: ad esempio a Tollo si trattò dell’industria Foppapedretti, a Civitella del Tronto del convento di S.Maria dei Lumi, a Isola del Gran Sasso della Basilica di San Gabriele e così via. Diversi furono i rapporti instaurati tra i prigionieri e le comunità dei paesi abruzzesi, nella maggior parte dei casi vi fu profondo rispetto e costante aiuto nei loro confronti ma non mancarono sparute proteste contro l’eccessiva libertà di movimento loro concessa dai responsabili dei campi.

Quando l’armistizio gettò nel caos il paese, l’8 settembre del 1943, l’occupazione tedesca che seguì decise il destino degli internati abruzzesi, alcuni rastrellati, fuggiti o deportati verso i lager del regime nazista.

A distanza di più di settant’anni sembrava opportuno ricordare questa pagina particolare e ancora sfumata della nostra storia regionale, che abbraccia una tematica dal riflesso europeo e globale nel quadro del secondo conflitto mondiale.


In copertina: gli internati del campo di Casoli (CH)

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